Andrea Tornielli è un giornalista di sensibilità diversa dalla mia, ma con cui a volte mi trovo d'accordo, come nel caso di questo post pubblicato sul suo blog.
Sul Giornale di ieri ho pubblicato un articolo dedicato al documento della Conferenza episcopale italiana dedicato alla situazione del Mezzogiorno, un testo che è stato rilanciato da tutti i mass media. E’ un documento che invita alla speranza, ma che offre un’analisi impietosa della situazione, una denuncia forte, anzi fortissima, sui mali che affliggono il Sud. Il «cancro» della mafia - scrivono i vescovi -, diffuse forme di corruzione e di illegalità, «meccanismi perversi» o «semplicemente malsani» nell’amministrazione della cosa pubblica, le inadeguatezze «presenti nelle classi dirigenti» paralizzano lo sviluppo del Mezzogiorno mentre «il complesso panorama politico ed economico nazionale e internazionale» lo sta trasformando «in un collettore di voti per disegni politico-economici estranei al suo sviluppo». Sono diffusi «usura, estorsione, evasione fiscale, lavoro nero». Ciò rivela - spiega la Cei - «una carenza di senso civico, che compromette sia la qualità della convivenza sociale sia quella della vita politica e istituzionale, arrecando anche in questo caso un grave pregiudizio allo sviluppo economico, sociale e culturale». Le classi dirigenti sono «inadeguate». Non metto in dubbio la correttezza dell’analisi sociologica, la realtà, peraltro, è sotto gli occhi di tutti. Ma non ho potuto fare a meno, leggendo il documento, di interrogarmi. Noi cattolici, noi Chiesa, che responsabilità abbiamo in questa deriva e in questo malcostume? In fondo il Mezzogiorno è cristiano da duemila anni. Il Sud è per definizione cattolico. Riflettendo sulla situazione, la comunità cristiana e la gerarchia, al di là della sacrosanta denuncia e indignazione, quale riflessione fa su se stessa? Perché, se malcostume e malaffare, se corruzione e criminalità organizzata, si sono diffuse e radicate così saldamente, ciò significa che la fede cristiana non ha inciso e non sta incidendo sulla vita concreta delle persone. L’unico accenno lievemente critico in questo senso l’ho trovato in un passo del documento dove si afferma che la Chiesa non ha ancora ben assimilato il grido profetico lanciato dalla Valle dei Templi di Agrigento da Papa Wojtyla contro la mafia, una mafia della quale oggi si preferisce non parlare, considerandola invincibile. Devo dire che anche questo passaggio mi ha suscitato domande e perplessità. Sì, perché la vera domanda non è se la Chiesa - che ha avuto i suoi martiri, basta pensare a don Pino Puglisi - alzi o meno la voce per suscitare indignazione e per denunciare con forza il malaffare, l’omertà, la criminalità organizzata che spesso strumentalizza la religione. Attenzione: denunce, proteste, manifestazioni, sono importanti, importantissime. Se però non cambia il cuore e la mente delle persone, queste denunce restano degli ottimi titoli ad effetto per i giornali, senza che incidano nella vita degli uomini e delle donne. Chiedersi quale fede si sta trasmettendo, quale educazione, quale catechesi si promuove, quale impegno si propone, quali esperienze si valorizzano e come le si valorizzano, non è, a mio modesto avviso, inutile. E forse, mi permetto di dire, qualche riflessione autocritica in più e qualche domanda in più in questo senso avrebbe aiutato a fare apparire il coraggioso documento un po’ meno sociologico-politico (nonostante la coincidenza con la campagna elettorale), e forse ancora più autentico. Perché di fronte a certe situazioni non emerge soltanto l’inadeguatezza della classe politica e amministrativa, del mondo economico, della scuola, etc. etc. Emerge anche l’inadeguatezza nostra nel rendere carne e sangue la fede professata testimoniandola in ogni circostanza della vita.