Chi legge regolarmente questo blog, sa che in diversi casi ho discusso criticamente alcune posizioni di Benedetto XVI. Questo non per una forma di ostilità preconcetta. Ho una grande considerazione dell'intelligenza di Joseph Ratzinger. Inoltre, comprendo e rispetto il valore del ministero del papa. Tutto ciò, nel mio essere cristiano, non significa una passività nei confronti di ogni sua parola. Anzi, l'essere cattolico, in una prospettiva autenticamente ecclesiale, significa anche avere la franchezza di pensare e interloquire (nel mio piccolo). Proprio perché il papa è importante per il suo ministero pastorale, il suo messaggio va fatto oggetto di riflessione senza nascondere le eventuali perplessità che suscitano alcune sue posizioni. Altrimenti, la chiesa sarebbe una caserma e non una comunione.
Ciò non significa che io pretendo di avere la verità in tasca e la voglio insegnare a tutti, ma semplicemente che condivido le mie considerazioni con chi le vuole ascoltare. Internet serve anche a questo. Poi, so che la fede non si riduce ad una opinione soggettiva, ma richiede un'adesione alla verità di Dio che si fa conoscere. Il punto è stabilire, detto in parole povere, quali sono i confini di questa verità. E non è detto che si potrà trovare una risposta universalmente valida.
Questa premessa è per dire che non deve sorprendere se do risalto in positivo a un suo testo. Non metto in rete il blog per essere "contro" qualcuno. Come diceva don Mazzolari, anch'io voglio bene al papa. E sono rimasto estremamente colpito dal testo della sua catechesi di mercoledì 16 settembre, dedicata alla figura di Simeone il Nuovo Teologo, un monaco orientale del X secolo. Invito a leggere almeno uno stralcio dell'intervento di Benedetto XVI che a mio avviso ha delle implicazioni rivoluzionarie.
Simeone concentra la sua riflessione sulla presenza dello Spirito Santo nei battezzati e sulla consapevolezza che essi devono avere di tale realtà spirituale. La vita cristiana – egli sottolinea - è comunione intima e personale con Dio, la grazia divina illumina il cuore del credente e lo conduce alla visione mistica del Signore. In questa linea, Simeone il Nuovo Teologo insiste sul fatto che la vera conoscenza di Dio non viene dai libri, ma dall’esperienza spirituale, dalla vita spirituale. La conoscenza di Dio nasce da un cammino di purificazione interiore, che ha inizio con la conversione del cuore, grazie alla forza della fede e dell’amore; passa attraverso un profondo pentimento e dolore sincero per i propri peccati, per giungere all’unione con Cristo, fonte di gioia e di pace, invasi dalla luce della sua presenza in noi. Per Simeone tale esperienza della grazia divina non costituisce un dono eccezionale per alcuni mistici, ma è il frutto del Battesimo nell’esistenza di ogni fedele seriamente impegnato.
Un punto su cui riflettere, cari fratelli e sorelle! Questo santo monaco orientale ci richiama tutti ad un’attenzione alla vita spirituale, alla presenza nascosta di Dio in noi, alla sincerità della coscienza e alla purificazione, alla conversione del cuore, così che realmente lo Spirito Santo divenga presente in noi e ci guidi. Se infatti giustamente ci si preoccupa di curare la nostra crescita fisica, umana ed intellettuale, è ancor più importante non trascurare la crescita interiore, che consiste nella conoscenza di Dio, nella vera conoscenza, non solo appresa dai libri, ma interiore, e nella comunione con Dio, per sperimentare il suo aiuto in ogni momento e in ogni circostanza. In fondo, è ciò che Simeone descrive quando narra la propria esperienza mistica. Già da giovane, prima di entrare in monastero, mentre una notte in casa prolungava le sue preghiere, invocando l’aiuto di Dio per lottare contro le tentazioni, aveva visto la stanza piena di luce. Quando poi entrò in monastero, gli furono offerti libri spirituali per istruirsi, ma la loro lettura non gli procurava la pace che cercava. Si sentiva - egli racconta - come un povero uccellino senza le ali. Accettò con umiltà questa situazione, senza ribellarsi, e allora cominciarono a moltiplicarsi di nuovo le visioni di luce. Volendo assicurarsi della loro autenticità, Simeone chiese direttamente a Cristo: "Signore, sei davvero tu stesso qui?". Sentì risuonare nel cuore la risposta affermativa e ne fu sommamente consolato. "Fu quella, Signore - scriverà in seguito - la prima volta che giudicasti me, figlio prodigo, degno di ascoltare la tua voce".
Tuttavia, neanche questa rivelazione lo lasciò totalmente quieto. Si interrogava piuttosto se pure quell’esperienza non fosse da ritenersi un’illusione. Un giorno, finalmente, accadde un fatto fondamentale per la sua esperienza mistica. Egli cominciò a sentirsi come "un povero che ama i fratelli" (ptochós philádelphos). Vedeva intorno a sé tanti nemici che volevano tendergli insidie e fargli del male, ma nonostante ciò avvertì in se stesso un intenso trasporto d’amore per loro. Come spiegarlo? Evidentemente non poteva venire da lui stesso un tale amore, ma doveva sgorgare da un’altra fonte. Simeone capì che proveniva da Cristo presente in lui e tutto gli divenne chiaro: ebbe la prova sicura che la fonte dell’amore in lui era la presenza di Cristo e che avere in sé un amore che va oltre le mie personali intenzioni indica che la fonte dell’amore sta in me. Così, da una parte possiamo dire che senza una certa apertura all’amore Cristo non entra in noi, ma, dall’altra, Cristo diventa fonte di amore e ci trasforma. Cari amici, questa esperienza resta quanto mai importante per noi, oggi, per trovare i criteri che ci indicano se siamo realmente vicini a Dio, se Dio c’è e vive in noi. L’amore di Dio cresce in noi se rimaniamo uniti a Lui con la preghiera e con l’ascolto della sua parola, con l’apertura del cuore. Solamente l’amore divino ci fa aprire il cuore agli altri e ci rende sensibili alle loro necessità, facendoci considerare tutti come fratelli e sorelle e invitandoci a rispondere con l’amore all’odio e con il perdono all’offesa.
Perché ritengo questo intervento "rivoluzionario". In realtà, qui non c'è niente di nuovo per chi conosce un poco la spiritualità cristiana, soprattutto quella orientale. Però, se noi guardiamo a come il cristianesimo (e soprattutto il cattolicesimo) sono vissuti e percepiti, vediamo prevalere altri aspetti rispetto a quelli qui evidenziati. Non l'esperienza di Dio nella preghiera, ma la dimensione istituzionale della Chiesa, l'autorità, la legge, l'ortodossia, il tradizionalismo liturgico, la metafisica... Invece, come scriveva sempre Benedetto XVI nella Deus caritas est:
All'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva.
Nel modo corrente di formare alla fede cristiana e di presentarla, questo incontro personale con Dio mi sembra molto sottovalutato e trascurato. Sono ben altre le parole del papa a cui tutti rivolgono la propria attenzione, quelle sui valori non negoziabili, per esempio. Invece, questa che è la base dell'essere cristiani passa sotto silenzio. Eppure, tutto il resto passa da qui. Se prendessimo sul serio la ricerca della presenza di Cristo in noi a partire dalla preghiera e dall'ascolto della Parola, sarebbe una vera e propria rivoluzione che, secondo me, cambierebbe faccia alla chiesa e al mondo. Il resto viene da qui. Tutti i discorsi sulla bioetica e il rapporto tra religione e politica devono scaturire da questo "cuore spirituale", altrimenti si riducono a essere elaborazioni puramente umane e culturali.
Anch'io, nel corso della vita, ho scoperto queste dimensioni solo progressivamente. In passato la fede era un problema che mi colpiva di più a livello intellettuale (e di qui il bisogno di fare degli studi per "capire meglio" certe cose) e in seguito lo vedevo prevalentemente come una questione di impegno per gli altri (il servizio, la condivisione e via dicendo). Sia il pensiero che il servizio sono irrinunciabili, ma hanno bisogno di un fondamento. Anche un non credente sa pensare e sa fare del bene agli altri. Se c'è una "differenza cristiana", per usare una fortunata espressione, è quella che pone all'origine di tutto l'incontro personale con l'unico Signore della vita e che dà un certo "colore" al mio pensare e al mio agire. Non che prima la preghiera non esistesse, ma la consideravo "una" tra le altre attività e non la manifestazione peculiare del mio tentativo di essere cristiano, di essere vero discepolo.
Ecco perché trovo importanti le parole del papa che ho riportato e anche la pubblicazione di un libro che potrebbe essere veramente uno stimolo per molti, a partire da me: Enzo Bianchi, Perché pregare. Come pregare, San Paolo.