Ho ritrovato idee molto simili a quelle da me espresse nel post precedente e molto ben argomentate in un articolo di Raniero La Valle pubblicato da Liberazione il 28 gennaio e riproposto dal sito Status Ecclesiae:
Benedetto XVI da parte sua ha ritirato la scomunica al termine di un lungo processo di riavvicinamento dottrinale, che lo stesso portavoce vaticano, padre Lombardi, ha rievocato così: dapprima, come cardinale prefetto della Congregazione per la dottrina della fede il documento ecclesiologico (quello che negava alle Chiese della Riforma il titolo di Chiese); poi, da papa, i discorsi sulla corretta interpretazione del Concilio (unica legittima essendo quella della continuità, ovvero della invarianza); infine il recupero del rito liturgico precedente al Concilio (che di fatto era un “come se”: come se il Concilio non ci fosse stato).
Tutto ciò, secondo l’interprete autorizzato del gesto papale, ha “creato un clima favorevole” costituendo perciò il vero precedente dell’attuale riconciliazione.
Se questi sono i fatti, messi in connessione gli uni con gli altri (e forse a questo punto si può aggiungere anche il discorso di Ratisbona) il loro significato è che nella Chiesa cattolica viene riaperto il Concilio Vaticano II. In ciò si potrebbe dire che Benedetto XVI compie un atto simmetrico e inverso a quello di Paolo VI che lo ha chiuso. Il Concilio viene riaperto proprio sul piano dottrinale, e questo è un bene perché finalmente alza il velo che prudentemente era stato steso su di esso dai suoi stessi promotori e protagonisti, secondo cui si sarebbe trattato di un Concilio solo “pastorale”, nulla innovando nella comprensione e nella dottrina della fede. Così non è stato: basta pensare che nel 2007 la stessa Santa Sede, appellandosi al Concilio, ha pubblicato un documento in cui veniva superata la vecchia e “tradizionale” dottrina secondo cui i bambini morti senza battesimo non possono salvarsi; e basta pensare al lieto annunzio della libertà religiosa affermata come propria di ogni creatura, e alle ricchezze divine che si sono riconosciute presenti in ogni cultura e religione.
Ma se il Concilio è riaperto, allora a parlare devono essere di nuovo tutti i vescovi, e non solo il primo di loro; la comunità cristiana deve essere coinvolta e gli “altri” (altri cristiani, ebrei, musulmani, fedeli di altre religioni, non credenti) diventano, come allora, i necessari interlocutori.
E non solo si dovrà comprendere meglio ciò che il Concilio è stato, ma anche portarlo avanti in ciò che allora rimase incompiuto.