La frontiera dell'integrazione passa anche per le parrocchie. Anche perché il cristianesimo è comunque l'appartenenza più consistente tra gli immigrati (con gli ortodossi che hanno ormai superato i cattolici secondo l'ultimo Rapporto Caritas). Ne parla, sul mensile dei saveriani Missione Oggi un articolo di Giusy Baioni che descrive esperienze di varie parti d'Italia. Riporto quelle riguardanti Milano e la periferia.
Milano. Nella parrocchia di S. Giovanni Crisostomo c'è da sempre un'attenzione per gli stranieri e in particolare per i musulmani. Racconta don Piero Cecchi: «Da noi c'è un'alta concentrazione di filippini, srilankesi, latinoamericani e nordafricani. È normale che ci si incontri, si viva insieme. Un terzo dei bambini che hanno ricevuto la Prima Comunione quest'anno non erano italiani, due anni fa erano la metà. È una presenza costruttiva, una ricchezza. Ma è logico che noi, essendo a pochi passi dal Centro Islamico di via Padova, uno dei più noti della città, dedichiamo ai musulmani particolare attenzione. Abbiamo rapporti di buon vicinato, stima reciproca e aiuto per le necessità. Due anni fa, quando in via Cavezzani una guardia giurata uccise un cittadino marocchino, le nostre comunità organizzarono un pranzo per famiglie cristiane e islamiche, a cui parteciparono 160 persone. Quest'anno, per la fine del Ramadan, tutta la parrocchia è stata invitata a cena al centro islamico. Ci fanno gli auguri di Natale e Pasqua, che noi ricambiamo per il Sacrificio d'Abramo, con piccoli scambi di doni». Non solo buon vicinato: al venerdì i musulmani pregano in una palestra, che in alcune occasioni è chiusa, e don Piero ha acconsentito a concedere gli spazi aperti della parrocchia. «Quando è il tempo delle benedizioni delle famiglie, nei caseggiati con la maggiore concentrazione di stranieri metto un cartello in inglese e spagnolo e suono a tutte le porte con la lettera della diocesi: qualcuno mi accoglie con diffidenza o freddezza, qualcuno con cordialità, qualcuno mi invita a bere un tè». La parrocchia organizza anche incontri culturali che aiutino a conoscersi e capirsi. «Una volta, su richiesta dei fidanzati, ne abbiamo organizzato uno su come è concepito il matrimonio nell'islam e nel buddismo». Don Piero opera in piena armonia con la diocesi, col supporto dell'Ufficio per il dialogo interreligioso; agisce anche in sintonia col suo coadiutore e col consiglio pastorale. Sta avviando un percorso con la parrocchia vicina, dove un prossimo incontro tra i due consigli pastorali cercherà di individuare azioni comuni. «Alcuni parrocchiani si sono spostati in altre chiese con meno immigrati e uno stile meno accogliente. Da parte mia c'è una grande serenità, Cristo è lo stesso ovunque, spero che pian piano si lascino conquistare dal Vangelo con serenità, secondo le tappe della loro crescita». Una cosa ripete spesso: «Siamo piccola e povera gente comune, non abbiamo nulla di eccezionale se non l'amore per Cristo».
Dalla città ci postiamo in periferia: don Carlo Pirotta è parroco a Corsico, hinterland milanese. Anche il suo territorio vede in questi ultimi anni una crescente presenza di stranieri. «Paradossalmente, qui da noi l'integrazione è molto facile. Il nostro è un quartiere di immigrazione da tutte le parti, da altre zone d'Italia e dal mondo. Non ci sono praticamente lombardi. Il quartiere è sorto negli ultimi vent'anni con case di edilizia pubblica. Il passo più semplice è l'integrazione dei ragazzini e il primo grosso lavoro è far in modo che tutti possano accedere alla parrocchia. Nell'ultimo centro estivo avevamo undici nazionalità». I numeri più alti sono di albanesi e rumeni. E don Carlo si è attrezzato: «Per poter mantenere la loro ricchezza culturale, abbiamo iniziato con la Messa mensile per gli albanesi cattolici (che non sono molti e vengono in genere dal nord dell'Albania, dove sono attorno al 15%) e quella settimanale in rumeno, celebrata da don Marcello Mititelu, inviato dalla diocesi». Ora stanno avviando una sperimentazione anche per i latinoamericani. «A volte, la Messa in lingua è una fuga, un rifugio per i nostalgici, altre volte un momento per caricarsi e poi ridonare alla comunità. Alcune etnie si ritrovano volentieri tra loro, altre invece cercano di confondersi con la popolazione. Ad esempio, gli albanesi cattolici vanno alla Messa italiana, hanno paura che si scopra da dove vengono». Dei suoi parrocchiani dice: «Hanno molta pazienza e disponibilità. Forse perché si sentono tutti provenienti da una terra straniera, sono capaci di accogliere con molta serenità».