Come si può riscontrare anche da quanto scrivevo nel post precedente, uno degli esercizi più diffusi tra coloro che si occupano di questioni religiose è quello di dissezionare gli scritti e i discorsi di Joseph Ratzinger precedenti alla sua elezione papale. Si cercano così argomenti e affermazioni a favore o contro di questa o quella posizione del dibattito ecclesiale e delle sue ripercussioni sulla vita socio-politica.
Questo fenomeno è un aspetto evidente di quella che io definirei “anomalia Ratzinger”: il fatto che un teologo di primo piano sia divenuto papa, dopo aver ricoperto per molti anni un incarico ecclesiale cruciale a capo della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha comportato (consapevolmente o no) una sorta di consacrazione della sua teologia divenuta nel dibattito cattolico pressoché normativa.
Che il pensiero di Ratzinger abbia assunto una rilevanza maggiore da quando è divenuto Benedetto XVI è un fatto comprensibile, naturale di cui non c’è da scandalizzarsi. Il problema nasce nel momento in cui quel pensiero venisse assunto in toto come normativo e indiscutibile all’interno della Chiesa. Se ne colgono indizi evidenti. A dispetto di affermazioni dello stesso Benedetto XVI.
Il mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire le mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da lui.
(24 aprile 2005, omelia di inizio pontificato)
Questo libro non è in alcun modo un atto magisteriale, ma è unicamente espressione della mia ricerca personale del volto del Signore. Perciò ognuno è libero di contraddirmi.
(Gesù di Nazaret, p. 20)
Caro decano, Lei ha aperto tutto il fascio di domande che occupano e preoccupano i pastori e noi tutti in questa nostra epoca e certamente Lei sa che io non sono in grado di dare in questo momento una risposta a tutto. Immagino che Lei avrà modo di ragionare ripetutamente di tutto questo anche con il suo Vescovo, e noi a nostra volta ne parliamo nei Sinodi dei Vescovi. Noi tutti, credo, abbiamo bisogno di questo dialogo tra di noi, del dialogo della fede e della responsabilità, per trovare la retta via in questo tempo sotto molti aspetti difficile per la fede e faticoso per i sacerdoti. Nessuno ha la ricetta pronta, stiamo cercando tutti insieme.
(6 agosto 2008, al clero della diocesi di Bolzano-Bressanone)
Un compito importante per i credenti, e soprattutto per i teologi nel loro servizio alla Chiesa, diventa quello di riuscire a discernere quanto, negli scritti e nei discorsi del papa, sia frutto delle sue idee personali (opinabili e discutibili) e quanto abbia invece un valore vincolante per la comunità cristiana. Non si può pensare, infatti, che ci sia una cesura netta tra il pre e il post elezione, per cui esprimendosi come papa, Benedetto XVI metta sempre e comunque da parte ogni sua idea e precomprensione. Questo vale per ogni pontefice, ma nel caso di un papa-teologo è una questione sicuramente più “pesante”.
Che la teologia di un singolo non abbia oggi la possibilità, se mai l’ha avuta, di porsi come assoluta trova conferma in un articolo pubblicato nel 2000 da Giuseppe Colombo sulla rivista Teologia («Per la storia della teologia nella seconda metà del ventesimo secolo»). Lo cito perché è uno scritto che è al di fuori del dibattito attuale e quindi al di sopra di ogni sospetto di intento gratuitamente polemico, opera di uno studioso la cui fedeltà alla Chiesa era indiscutibile.
Colombo riconosceva che siamo in un tempo di evoluzione in cui le domande precedono le dottrine e le domande prevengono le risposte creando situazioni di disagio e di malessere che però non devono essere assolutizzate.
Ma occorre dar tempo alla teologia di elaborarsi, senza impazientirsi dei suoi ritardi e quindi senza forzare le sue conclusioni. Così nel trapasso dalla teologia eurocentrica alla teologia “mondiale”, occorre scontare la fase della ricerca, che, pur consentendo di individuare le linee tendenziali dello sviluppo, non consente però di disporre di una teologia già confezionata. È la situazione odierna della teologia.
Per quanto profonda, la teologia di Joseph Ratzinger è sicuramente ancora eurocentrica, ha il suo baricentro in un’epoca ormai conclusa. Essa ci segnala delle istanze che provengono dalla tradizione europea che non vanno sicuramente smarrite (basti pensare a tutta la sollecitazione ad allargare gli orizzonte della ragione per superare il pregiudizio che la ritiene intrinsecamente estranea alla fede). Però, non la si può considerare un paradigma definitivo.
La teologia, scriveva ancora Colombo, propone un’unica salvezza e perciò tende a realizzare l’unità di un unico linguaggio. Certo, questa tensione all’unità necessita una lunga attesa, forse un’attesa infinita perché è infinito il suo oggetto che richiede perciò diverse prospettive di ricerca. Siamo in un tempo in cui è impossibile realizzare l’unità della teologia.