A Nairobi è riunito il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti con i delegati delle commissioni episcopali per le migrazioni di 27 Paesi africani.
L’Osservatore Romano di oggi ha pubblicato due interventi in proposito.
Il primo intervento è del vescovo Agostino Marchetto, Segretario del Consiglio, il quale rileva:
Le persone emigrano, tra le altre cause, per poter provvedere alla propria famiglia, cellula naturale e fondamentale della società, come ha ribadito la recente plenaria del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti. I migranti hanno bisogno di vivere in una famiglia non solo come tutti, ma se possibile ancora di più. Infatti, per quanti sono lontani dalla propria patria, il sostegno della famiglia è essenziale. Di conseguenza, le famiglie non devono essere disperse e indebolite, lasciando in uno stato di estrema vulnerabilità, in particolare, le donne e i bambini.
Anche qui da Nairobi, dopo aver ascoltato le relazioni dei rappresentanti di varie Conferenze episcopali, la Chiesa può rinnovare il suo appello ai Governi che ancora non hanno provveduto affinché ratifichino la Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie.
Ai Paesi destinatari delle migrazioni, soprattutto all'Europa, rinnovo l'appello in favore dei migranti africani, molti dei quali sono senza dubbio senza documenti, ma spinti da persecuzioni, fame, violenze e tratta di esseri umani. Certamente i Governi hanno in tutto ciò la loro competenza, che noi rispettiamo, ma questa competenza deve tradursi ed esprimersi in un dialogo multilaterale, perché nessuno oggi può risolvere questioni così complesse unilateralmente.
In ogni caso, è da rifiutare senza tentennamenti l'equivalenza che alcuni fanno tra immigrato irregolare e criminale, anche se, ovviamente, chi si trasferisce in un Paese deve osservarne le regole sociali e giuridiche, ed essere considerato responsabile, come tutti, per il male che commette. I Governi devono tener conto del bene comune della loro Nazione, ma nel contesto del bene comune universale, cioè di tutta l'umanità. Il Papa stesso moltiplica gli appelli per il rispetto dei diritti dei migranti e delle loro famiglie.
E l’intervento del cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del medesimo consiglio, aggiunge:
i politici e l'amministrazione pubblica concentrano la loro attenzione quasi esclusivamente sulle strategie e sui meccanismi di controllo e di arresto. E quando i media ne fanno il resoconto si può spesso notare una tendenza a sottolineare gli aspetti più drammatici di questo dramma sociale e umano, e cioè la morte, la criminalità, la prostituzione, il terrorismo politico, la povertà estrema e le conseguenti reazioni sociali violente o xenofobe legate alle migrazioni". Insomma, non si può più continuare a parlare di immigrazione ignorandone allo stesso tempo le origini, le cause e le implicazioni socio-culturali che ne derivano. La lista è spaventosa: povertà estreme, squilibri demografici, nazionalismi esasperati, disoccupazione, dipendenza economica, ostilità e violenze contro gli immigrati, i rifugiati e gli stranieri in generale. Occorre un'"azione urgente" contro le cause e le implicazioni negative delle migrazioni, occorre che i governi vadano alla radice del problema.
Dichiarazioni di questo genere hanno messo un piccolo freno alla politica avviata dal governo italiana in materia. Mi viene da chiedermi, però, come mai nel mondo cattolico anche su questi temi ci sia bisogno dei pronunciamenti di componenti della gerarchia perché qualcosa si muova invece che di laici competenti e autorevoli. Pur condividendo nella sostanza i due interventi, li trovo comunque l’ennesimo segno di un cattolicesimo clericocentrico.