Torno ancora una volta sulla vicenda del battesimo di Magdi Allam non tanto per parlare della persona coinvolta (v. i post Conversioni dentro e fuori, Legittimo pluralismo), ma perché questo fatto che ha avuto una grande risonanza pubblica offre l’occasione di discutere alcuni aspetti centrali della fede cristiana.
Tra le critiche rivolte ad Allam e al papa ha avuto una certa risonanza quella del teologo musulmano libico Aref Ali Nayed, direttore del Royal Islamic Strategic Studies Center di Amman, in Giordania. Il testo della sua dichiarazione è stato riportato da Sandro Magister in appendice a un suo articolo. Tra l’altro, Nayed scrive:
È triste che Benedetto XVI scelga di porre come messaggio fondamentale del suo discorso religioso durante la speciale celebrazione della Pasqua una contrapposizione quasi manichea tra i simboli delle "tenebre" e della "luce", dove le "tenebre" sono assegnate agli "altri" e la luce a "sé". Ed è pure triste che l'idea di "pace" espressa in tale discorso si riduca a portare gli "altri" nell'ovile attraverso il battesimo. Da parte di Roma, un discorso così totalitario è tutto tranne che d'aiuto.
Chi segue questo blog sa che personalmente ritengo che un credente possa muovere una critica onesta alla gerarchia che non è cristiano considerare un’autorità assoluta e incontestabile. In questo caso, però, mi sembra ci sia un fraintendimento su un aspetto importante del messaggio cristiano. A tale proposito, il passaggio dell’omelia di Benedetto XVI è il seguente:
Con la radicalità del suo amore, nel quale il cuore di Dio e il cuore dell’uomo si sono toccati, Gesù Cristo ha veramente preso la luce dal cielo e l’ha portata sulla terra – la luce della verità e il fuoco dell’amore che trasforma l’essere dell’uomo. Egli ha portato la luce, ed ora sappiamo chi è Dio e come è Dio. Così sappiamo anche come stanno le cose riguardo all’uomo; che cosa siamo noi e per che scopo esistiamo. Venir battezzati significa che il fuoco di questa luce viene calato giù nel nostro intimo. Per questo, nella Chiesa antica il Battesimo veniva chiamato anche il Sacramento dell’illuminazione: la luce di Dio entra in noi; così diventiamo noi stessi figli della luce. Questa luce della verità che ci indica la via, non vogliamo lasciare che si spenga. Vogliamo proteggerla contro tutte le potenze che intendono estinguerla per rigettarci nel buio su Dio e su noi stessi. Il buio, di tanto in tanto, può sembrare comodo. Posso nascondermi e passare la mia vita dormendo. Noi però non siamo chiamati alle tenebre, ma alla luce. Nelle promesse battesimali accendiamo, per così dire, nuovamente anno dopo anno questa luce: sì, credo che il mondo e la mia vita non provengono dal caso, ma dalla Ragione eterna e dall’Amore eterno, sono creati dal Dio onnipotente. Sì, credo che in Gesù Cristo, nella sua incarnazione, nella sua croce e risurrezione si è manifestato il Volto di Dio; che in Lui Dio è presente in mezzo a noi, ci unisce e ci conduce verso la nostra meta, verso l’Amore eterno. Sì, credo che lo Spirito Santo ci dona la Parola di verità ed illumina il nostro cuore; credo che nella comunione della Chiesa diventiamo tutti un solo Corpo col Signore e così andiamo incontro alla risurrezione e alla vita eterna. Il Signore ci ha donato la luce della verità. Questa luce è insieme anche fuoco, forza da parte di Dio, una forza che non distrugge, ma vuole trasformare i nostri cuori, affinché noi diventiamo veramente uomini di Dio e affinché la sua pace diventi operante in questo mondo.
Bisogna chiarire che la simbologia biblica della luce e la sua contrapposizione con le tenebre non è riconducibile a un dualismo manicheo per cui ci sarebbero due entità in contrasto che sono sullo stesso piano, come nella critica di Nayed.
Questa simbologia è presente, per esempio, nella prima lettera di Giovanni: «Dio è luce e in Lui non c’è tenebra» (1Gv 1,5). Come spiega Enzo Bianchi nel suo commento alle lettere di Giovanni (L’amore vince la morte, San Paolo 2008, pp. 37-46), nella teologia giovannea il dualismo non riguarda l’ordine ontologico, bensì quello delle operazioni. In altre parole, dire che Dio è luce significa fare un annuncio di carattere operativo a partire dall’agire di Dio: Dio è luce perché è amore e questo amore si manifesta fattivamente nell’Incarnazione, nella Croce, nella Risurrezione e nell’effusione dello Spirito.
Dio si manifesta come luce nel suo entrare in relazione con noi, nel suo donarsi a noi per farci vivere. Luce e tenebra, pertanto, non indicano due entità, ma due modi di essere diametralmente opposti: la vita e la non vita, l’amore e il non amore, il bene e il male, la verità e la menzogna… In Dio non c’è ambiguità o doppiezza, perché il suo essere e il suo agire sono totalmente e solamente amore (1Gv 4,8). Questo messaggio chiama anche noi a fare una scelta.
Quindi, mi sembra chiaro anche nelle parole del papa, distinguere tra luce e tenebre non vuol dire contrapporre cristiani e non cristiani, asserendo una presunta superiorità degli uni sugli altri in forza del battesimo. È piuttosto un invito rivolto innanzi tutto ai primi a camminare sulla strada della luce – cioè essere uomini e donne di amore, di pace, di verità – a non rinnegare con la vita il Dio celebrato nella liturgia. Il che non impedisce che altri percorrano la stessa strada con le loro parole e opere, pur senza essere credenti.
La pace che il cristiano auspica è la pace di Dio. È il dono che Egli ci fa di instaurare relazioni di pace secondo il suo Spirito. Non è la pace che deriva dall’aderire tutti alla stessa religione che “conquista” il mondo.
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