Che cosa vuol dire essere persona? Quando comincia la persona e quando finisce? C’è un’anima e qual è il suo rapporto con il corpo. Sono domande che appartengono alla riflessione filosofica e teologica. Appaiono esclusivamente teoriche, ma quando si ha a che fare con questioni come aborto, eutanasia e accanimento terapeutico diventano estremamente concrete ed attuali.
L’agenzia Zenit ha dato la notizia della presentazione del libro Finis Vitae? La morte cerebrale è ancora vita? (Rubbettino) avvenuta al CNR di Roma. È intervenuto il professor Roberto De Mattei, docente di Storia del cristianesimo e curatore del volume:
“Nessuno può affermare – ha detto – che l’individualità biologica di una persona cessa con la morte cerebrale. Il cervello integra alcune funzioni dell’intero corpo umano ma non può essere l’integratore generale di tutte le funzioni vitali”.
“Un teologo come Vito Mancuso, citando a sproposito San Tommaso d’Aquino, arriva ad affermare che un neonato o un cerebroleso non sono da considerarsi persone, non avendo sviluppato le funzioni cerebrali – ha commentato lo storico –. In realtà la loro funzione vitale non risiede nelle facoltà intellettive, delle quali essi non sono privi, sebbene non possano esercitarle”.
Sul concetto di morte cerebrale è intervenuto anche il professor Josef Seifert, membro dell’Accademia Internazionale delle Scienze del Liechtenstein. “Se identificassimo la morte con la morte cerebrale – ha affermato Seifert – dovremmo ammettere che la distruzione dell’encefalo comporterebbe la dissoluzione dell’intero organismo umano”.
“La vita umana scaturisce, invece, dall’integrazione di corpo e anima – ha proseguito il filosofo – laddove l’intelletto è una funzione fondamentale ma non superiore alle altre, né può essere la sede dell’anima. Il collegamento tra anima e corpo è qualcosa che va ben al di là delle funzioni cerebrali”.
In linea di massima sono abbastanza d’accordo, ma bisognerebbe stabilire in che cosa consisterebbe questo collegamento tra anima e corpo. Altrimenti, si introduce un pregiudizio naturalistico che riduce la persona umana alla sua funzionalità biologica. Per cui ciò che più conta, alla fine, sarebbe preservare l’attività degli organi come se in noi non ci fosse qualcosa di più e di più importante. Il corpo e l’anima diventano un’unità vitale nella relazione. Quando una donna scopre di essere incinta dice: «Aspetto un figlio!». È l’inizio di una relazione che va al di là dello sviluppo biologico del feto. Per questo non bisogna prendere alla leggera questioni come aborto ed eutanasia, ma per lo stesso motivo non si può nemmeno considerare come valore supremo la tutela dell’organismo umano. Se no, veniamo ridotti a delle macchine il cui fine principale è essere mantenute in funzione. Questo vorrebbe dire giustificare ogni forma di accanimento terapeutico.
È inoltre inesatto quanto si afferma delle tesi di Vito Mancuso. Come se secondo lui neonati e cerebrolesi potssero essere tranquillamente eliminati in quanto non persone. Questa mi sembra una forma di critica scorretta e denigratoria per svalutare un teologo che contesta alcune affermazioni magisteriali. Una critica va fatta senza alterare ciò che una persona dice o dandogli un senso che non ha. Alle pp. 134-144 de L’anima e il suo destino, Mancuso afferma chiaramente che è nella relazione che persino un bambino cerebroleso raggiunge quella umanità che le sue funzioni biologiche non attuano pienamente da sole. E la relazione dipende da noi. È il nostro dovere di cristiani. Quindi, Mancuso non invita affatto a eliminare i bambini gravemente handicappati, ma ad amarli maggiormente. E questo dovrebbe essere un compito di tutta la comunità cristiana e non solo dei genitori.
Tra l’altro, proprio all’handicap aveva dedicato un altro libro molto bello di alcuni anni fa: Il dolore innocente. L’handicap, la natura e Dio (Mondadori, 2002).
Inoltre, a p. 107 del suo contestato libro dello scorso anno, Mancuso scrive esplicitamente:
Occorre precisare che non ci sono diverse anime, ma diversi stadi della medesima anima, della medesima energia che trascende l'espressione corporea. Quindi, nell'anima vegetativa è contenuta in potenza l'anima sensitiva, poi quella razionale, infine quella spirituale. Ne viene che sopprimendo l'embrione o il feto, si sopprime una vita umana con tutta la sua potenzialità, non ci può essere il minimo dubbio al riguardo. E' per questo che sia l'aborto sia la soppressione di embrioni umani precedentemente creati sono eticamente condannabili.
Non vedo, quindi, su che basi si afferma che per Mancuso il neonato non sia una persona.