Poco dopo Natale, l’assassinio di Benazir Bhutto, a dimostrazione che la pace proclamata nelle liturgie natalizie è difficile da conseguire nella vita.
Sotto questo aspetto il cristianesimo ha una teologia e una spiritualità molto ricche, ma quello che forse ci manca è una pratica della pace, come possiamo invece trovare nella tradizione buddista: la pace fuori di noi che nasce dalla pace dentro di noi. Le chiese hanno spesso tradotto la fede in morale, più che in uno stile di vita. Certo, non mancano nella tradizione spirituale del cristianesimo molti esempi di pratica della pace interiore, soprattutto nel monachesimo. Però, sono aspetti abbastanza trascurati dal cristianesimo ordinario che non sono mai diventati insegnamenti sistematici e applicabili nelle situazioni quotidiane in cui si è preferito dare spazio alla devozione.
Senza rinunciare al messaggio evangelico, alla fede nel DioTrinità che si incarna, muore e risorge per noi, i cristiani potrebbero imparare molto dalle religioni orientali nel tradurre la propria fede in una pratica di vita, invece che in prescrizioni o in attività organizzate. Diamo molto spazio alle opere di carità, ma non all’essere carità. Non a caso, Romano Guardini diceva che Buddha era l’unica altra figura spirituale la cui statura potesse essere paragonabile a quella di Gesù.
Penso, ai nostri tempi, all’insegnamento di Thich Nhat Hanh:
La vera pace è sempre possibile. Certo, richiede forza e pratica, specialmente in tempi molto difficili. Per alcuni, pace e nonviolenza sono sinonimi di passività e debolezza. In verità, praticare la pace, far vivere la pace dentro di noi significa coltivare attivamente la comprensione, l’amore e la compassione, anche di fronte all’equivoco e la conflitto. Praticare la pace richiede coraggio, specialmente in tempi di guerra.
Tutti noi possiamo praticare la nonviolenza. Si comincia col riconoscere che nel profondo della nostra coscienza abbiamo sia i semi della compassione sia quelli della violenza. Prendiamo consapevolezza che la nostra mente è come un giardino che contiene in sé semi di ogni genere: semi di comprensione, semi di perdono, ma anche di paura e di odio. Ci rendiamo conto che in ogni momento possiamo comportarci in modo violento oppure compassionevole, a seconda della forza che hanno quei semi dentro di noi.
I semi della rabbia, della violenza e della paura in noi, innaffiati svariate volte al giorno, crescono e si rafforzano; allora non riusciamo più a essere felici, ad accettarci: soffriamo invece e facciamo soffrire coloro che abbiamo attorno. Invece, quando sappiamo coltivare in noi tutti i giorni i semi dell’amore, della compassione e della comprensione questi si rafforzano.
L’unica nostra arma è la pace, Mondadori 2005, pp. 7-8
Sono parole che possono essere accostate a diversi brani evangelici e in merito ai quali Thich Nath Hanh, un maestro di spiritualità della nostra era che ha vissuto la ricerca della pace durante la guerra del Vietnam, fornisce indicazioni concrete per applicarle alla vita quotidiana. In Italia il suo insegnamento è diffuso dall’associazione Essere Pace. Piccole scelte, piccoli comportamenti quotidiani per essere pace. A partire da noi stessi, dalla nostra interiorità, e non da una scelta ideologica.