Ho ricevuto questo commento.
Carissimo ti scrivo non in attinenza all’argomento del tuo post ma per esprimere il mio punto di vista circa l’episodio di cui ieri ha parlato La Stampa, accaduto nella Parrocchia di Santa Rita a Torino. Ossia la ragazza che va a confessarsi e perchè convivente le viene negata l’assoluzione.
So benissimo che il matrimonio è un sacramento e che sotto il profilo dell’ortodossia dottrinale il parroco poteva avere le sue buone ragioni. Ma come guida delle anime si agisce così? Non si tiene minimamente conto dei traumi che possono essere inferti a psicologie fragili. Per me l’episodio è di una gravità inaudita. Ho letto anche il parere del Preside della Facoltà Teologica e mi trovo d’accordo con lui.
Ciò che è accaduto sa di oscurantismo medievale. Ed io ti posso assicurare non condivido affatto certe facili convivenze. Spesso impoveriscono i rapporti sentimentali invece di fortificarli. Ma danneggiare le persone gratuitamente( e questo è solo un episodio) non mi sembra giusto. Dov’è finita la misericordia di Dio Padre? Dov’è finito il concetto di accoglienza?
Bisognerebbe parlarne.
Grazie. Marianna Micheluzzi
Grazie a te.
Si incomincia ad amare Dio quando ci si sente amati da Dio. Il sacramento della riconciliazione dovrebbe essere appunto l’incontro con un Padre misericordioso che mi attende e mi accoglie, perché mi ama in ogni caso (Luca 15,11-32). D’altronde, Gesù era tanto intransigente con il peccato, al punto da dire che basta il desiderio per commettere adulterio nel proprio cuore (Matteo 5,27-28), quanto accogliente con i peccatori, al punto da dire alla donna adultera: «Neanch’io ti condanno. Va’ e non peccare più» (Giovanni 8,3-11).
Il che naturalmente non vuol dire che ognuno di noi può fare quello che vuole e poi andare in chiesa per lavarsi la coscienza. E lo dice una persona che non sa darsi pace per le proprie colpe.
Un confessore ha il dovere di esortare la persona che gli si rivolge a convertire in pienezza la propria vita e di accompagnarla in questo percorso. Percorso che ha una sua progressività. Ma è un accompagnamento che richiede bontà e fermezza, altrimenti chi confessa è solo un censore o un inquisitore. Bisognerebbe conoscere nel dettaglio la vicenda di Torino per prendere posizione, ma non ritengo – per le motivazioni dette – che, se questa persona era sinceramente pentita del proprio peccato, le si dovesse negare l’assoluzione per la sua situazione affettiva che era un’altra cosa.
Il cuore umano è un terreno tanto delicato, pieno di luci e ombre, che richiede di entrarvi con delicatezza e attenzione.