Mi ha scritto Andrea Grillo, teologo laico, sposato e padre di due bambini, che insegna teologia sacramentaria e liturgica presso il pontificio ateneo S. Anselmo di Roma. Avendo letto alcuni dei post dedicati alle decisioni di Benedetto XVI sulla celebrazione della Messa secondo il rito di Pio V (v. il post In difesa del messale di Paolo VI), mi ha segnalato un suo scritto che uscirà sulla rivista Il regno. Il testo di Andrea Grillo è disponibile sul sito Status Ecclesiae che raccoglie appunti, riflessioni e proposte sullo stato della Chiesa cattolica in Italia. Questo sito, il cui gruppo redazionale fa riferimento allo storico Alberto Melloni, appartenente alla scuola di Dossetti e Alberigo, si propone come uno spazio di confronto in cui trovano posto opinioni che si discostano dall'attuale unanimismo ecclesiale.
Per quel che riguarda le riflessioni di Grillo, egli solleva alcuni interrogativi riguardanti il provvedimento di Benedetto XVI, al centro mi sembrano esserci le ricchezze del messale riformato, dovute all'apporto del Concilio Vaticano II, che non si ritrovano nel rito di Pio V e che quindi suscitano perplessità sulla coesistenza paritaria dei due riti. Riporto un passaggio:
La Chiesa potrà vivere, contemporaneamente, nel 2007 e nel 1962, subordinando la scelta non alla discrezione del vescovo, ma alla decisione dei fedeli e/o alla scelta "libera" del singolo presbitero. La Riforma liturgica, che aveva la necessità di riformare il rito romano tridentino per garantire la partecipazione attiva, risulterebbe così ridotta ad una semplice possibilità eventuale e ulteriore, incapace di incidere sulla tradizione "antica" e "alta" della messa, che risulterebbe così "irreformabile". Una tale ipotesi di impatto effettuale del Motu proprio costituirebbe, a tutti gli effetti, una rilettura riduttiva e caricaturale delle intenzioni e delle profezie conciliari. Essa potrebbe correre il rischio di dimenticare che i nn. 47-57 di Sacrosanctum Concilium chiedono di riscoprire nell'eucaristia la ricchezza biblica, l'omelia, la preghiera dei fedeli, la lingua volgare, l'unità delle due mense, la comunione sotto le due specie e la concelebrazione. Si deve invece ricordare - e quasi si dovrebbe scrivere a chiare lettere sugli stipiti di tutte le sacrestie - che neppure uno solo di questi sette elementi si trova nel rito tridentino e che per renderlo nuovamente presente è stato necessario procedere alla sua riforma, per consentire al rito romano di ritrovare solo così una ricchezza altrimenti perduta. La libertà che domani si vorrebbe garantire vorrebbe essere la libertà di tornare ad essere poveri di parola biblica, poveri di omelia, poveri di preghiere dei fedeli, poveri di lingua volgare, poveri di comunione sotto le due specie e poveri di concelebrazione? Quale Chiesa potrebbe privarsi oggi di queste ricchezze senza perdere molto, moltissimo della sua capacità di testimonianza?
Sullo stesso argomento, in rete si trova anche un'intervista ad Andrea Grillo, sul sito della casa editrice Queriniana di Brescia. Più che una reale esigenza teologica o pastorale, la decisione sull'uso del Messale (così come il documento della Congregazione per la Dottrina della Fede sull'identità della Chiesa che nega tale qualifica alle confessioni protestanti) sembra riguardare l'esigenza di definire e rafforzare l'identità cattolica. Il giornalista John L. Allen, in un estratto da un libro a cui sta lavorando sui megatrend del cattolicesimo, la riconosce come una delle tendenze che si stanno affrontando. In una società sempre più pluralista, in cui non sono più egemoni, i cattolici sentono maggiormente il bisogno di riconoscersi ed essere riconoscibili, distinguendosi dagli altri e ribadendo la propria identità. In un tempo di incertezze, le persone (credenti compresi) sono alla ricerca di rassicurazione e di punti fermi.
Mi chiedo se le certezze di cui i cattolici hanno bisogno sono queste (cioè la riproposizione della liturgia e dell'ecclesiologia di un'epoca precedente). Esse garantiscono magari compattezza e senso di distinzione dagli altri, ma allontanano chi sta fuori. Rassicurano all'interno (soprattutto chi si aggrappa a dei segni esteriori), ma non aiutano a comunicare con l'esterno. Non aiutano cioè la missione della Chiesa. Il gioco, allora, vale la candela?
La questione dell'identità cattolica (o della differenza cristiana, per usare la fortunata espressione di Enzo Bianchi) richiede di essere discussa in un dibattito che ci aiuti a capire meglio la nostra fede e come annunciarla agli altri.
Ho notato che non c'è nessun commento a questo post molto interessante. Ho letto altri articoli al riguardo, ma, onestamente, non sono riuscita a comprendere bene la questione. Sono abituata da sempre ad accettare come bene, come ispirato da Dio, tutto quello che viene dal Papa.
A questo proposito ho letto però molti dubbi, anche da parte di persone che, come te, hanno sempre una chiara e giusta visione delle cose. Personalmente amo la Santa Messa così come è oggi. Non ho rimpianti per quella in latino (ero troppo giovane), anche se il latino mi piace molto. Ricordo certe vecchiette che con grande devozione cantavano TANTU MERGO e altre amenità del genere delle quali mi resi conto solo in seguito.
La fede però era grande e le parole non contavano nulla.
Vedremo. Ma io non penso che nelle nostre Parrocchie cambierà molto e non mi preoccupo.
Chiedo scusa per il lungo commento e, come sempre, ti ringrazio per i Post.
Paola
Scritto da: Paola | 25/08/07 a 12:24