Joseph Ratzinger e Carlo Maria Martini. Simboli di due anime della Chiesa negli ultimi 25 anni, cioè da quando uno è divenuto prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e l'altro Arcivescovo di Milano. Il Papa conservatore e l'anti-papa progressista. Queste sono le rappresentazioni che i mezzi di comunicazione perpetuano ancora oggi, in tempi recenti sui temi della bioetica e della famiglia. Fuori e dentro la Chiesa, c'è chi insiste (e un po' specula) su una presunta contrapposizione tra questi due protagonisti della storia della Chiesa contemporanea (confronta il mio post Attacco a Martini e un post di Sandro Magister).
Ma che cosa pensa realmente Benedetto XVI del card. Martini? E' molto interessante (e assolutamente inequivocabile) a tale proposito una conversazione che il Papa ha avuto il 17 febbraio con gli studenti del Seminario Romano Maggiore in cui ha usato un tono disteso e quasi confidenziale. Ripercorrendo i propri studi e il proprio itinerario spirituale, egli ha menzionato figure importanti della storia della Chiesa come S. Agostino e S. Bonaventura. L'unico "vivente" menzionato da Benedetto XVI è stato proprio Martini in un passaggio sull'amicizia sacerdotale che la dice lunga:
E’ importante, naturalmente, anche non isolarsi, non pensare di poter andare avanti da soli. Abbiamo proprio bisogno della compagnia di sacerdoti amici, anche di laici amici, che ci accompagnano. ci aiutano. Per un sacerdote è molto importante, proprio nella parrocchia, vedere come la gente abbia fiducia in lui e sperimentare con la loro fiducia anche la loro generosità nel perdonare le sue debolezze. I veri amici ci sfidano e ci aiutano ad essere fedeli in questo cammino. Mi sembra che questo atteggiamento di pazienza, di umiltà ci possa aiutare ad essere buoni con gli altri, ad avere comprensione per le debolezze degli altri, ad aiutarli, anche loro, a perdonare come noi perdoniamo.
Penso di non essere indiscreto se dico che oggi ho ricevuto una bella lettera del cardinale Martini: gli avevo espresso felicitazioni per il suo ottantesimo compleanno – siamo coetanei; nel ringraziarmi mi ha scritto: ringrazio soprattutto il Signore per il dono della perseveranza. Oggi – egli scrive – anche il bene si fa piuttosto ad tempus, ad experimentum. Il bene, secondo la sua essenza, si può solo fare in modo definitivo; ma per farlo in modo definitivo, abbiamo bisogno della grazia della perseveranza; prego ogni giorno – egli concludeva - perché il Signore mi dia questa grazia.
Ritorno a Sant’Agostino: lui era inizialmente contento con la grazia della conversione; poi scoprì che c’è bisogno di un’altra grazia, la grazia della perseveranza, che dobbiamo ogni giorno chiedere al Signore; ma come – ritorno a quanto dice il cardinale Martini – “finora il Signore mi ha donato questa grazia della perseveranza; me la darà, spero, anche per questa ultima tappa del mio cammino su questa terra”. Mi sembra che dobbiamo aver fiducia in questo dono della perseveranza, ma che dobbiamo anche con tenacia, con umiltà e con pazienza pregare il Signore perché ci aiuti e ci sostenga con il dono della vera definitività; che Egli ci accompagni giorno per giorno fino alla fine, anche se il cammino deve passare attraverso valli oscure. Il dono della perseveranza ci da gioia, ci da la certezza che siamo amati dal Signore e questo amore ci sostiene, ci aiuta e non ci lascia nelle nostre debolezze”.
Alla luce di queste parole, il presunto dualismo Ratzinger-Martini mi sembra proprio non reggere. Lo sostiene anche il giornalista statunitense John L. Allen che è intervenuto sul tema proprio alla luce delle cordiali parole di Benedetto XVI: per un Papa così misurato e preciso nel parlare (rispondendo a domande che gli erano state sottoposte in anticipo dopo essere state concordate) e che è sempre sotto i riflettori, non sono sicuramente commenti casuali.
Certamente il senso in cui leggere queste osservazioni di Ratzinger è eminentemente spirituale e non cancella le differenze di accenti tra i due, ma questo non impedisce che ci sia rispetto e stima reciproca. Anche perché Benedetto XVI, nell'esercizio del ministero petrino, finora non si è attestato su una qualche posizione ideologica imbracciando la bandiera conservatrice e restauratrice che tanti gli attribuiscono. Egli ha piuttosto cercato di collocarsi, da pastore, in una posizione di "centro" (o meglio in una posizione di accoglienza di varie prospettive) cercando di mostrarsi il "Papa di tutti". Insomma, Benedetto XVI - pur avendo le sue idee, molto nette, che non nasconde - non ha creato spaccature nella Chiesa "ripudiando" quell'area cattolica che per sensibilità si sente più vicina a Martini. Anche perché l'uno è meno tradizionalista e l'altro meno innovatore di quanto non li si dipinga normalmente.
Mi auguro che questo incoraggi l'allontanamento di una logica di schieramento (da muro contro muro) e di "cattolicesimo chiuso" che spesso prevale nella Chiesa per andare verso uno spirito più aperto che, senza relativismi, riconosca il bene del pluralismo e la ricchezza che vengono da sensibilità diverse nel vivere l'unica fede (v. il mio post Il cattolicesimo progressista ha fallito; leggi anche il commento di John L. Allen sul rapporto tra Ratzinger e Martini e sulle aree del cattolicesimo che si riconoscono in loro). Mi sembra estremamente significativo al riguardo l'aneddoto raccontato sempre da Benedetto XVI nell'incontro con i seminaristi:
Mi viene qui in mente una piccola storia di Santa Bakhita, questa bella Santa africana, che era schiava in Sudan, poi in Italia ha trovato la fede, si è fatta suora e quando era già anziana il vescovo faceva visita al suo monastero, nella sua casa religiosa e non la conosceva; vide questa piccola, già curva, suora africana e disse a Bakhita: “Ma che cosa fa Lei, sorella?”; la Bakhita rispose: “Io faccio La stessa cosa che Lei, Eccellenza”. Il vescovo stupito chiese: “Ma che cosa?” e Bakhita rispose: “Ma Eccellenza, noi due vogliamo fare la stessa cosa, fare la volontà di Dio”.
Mi sembra una risposta bellissima, il Vescovo e la piccola suora, che quasi non poteva più lavorare, facevano, in posizioni diverse, la stessa cosa, cercavano di fare la volontà di Dio e così erano al posto giusto.
Non c'è un solo modo di fare la volontà di Dio, ma tanti.